domenica 25 aprile 2010

il partigiano johnny

ecco una bella foto di Beppe Fenoglio. le guance mangiate dal vaiolo, l'eleganza e l'ironia dello sguardo. l'assenza di retorica, la mestizia anche. 
Ecco beppe fenoglio che dopo aver fatto il partigiano, commercia in vini e si definisce scrittore fallito. 
Ed eccovi l'incipit de "il partigiano johnny" capolavoro pubblicato postumo.
Beppe Fenoglio che va sui monti, combatte i tedeschi e riesce a sfuggire a qualunque retorica, che mi fa sentire così possibile e vicina una scelta che ora sembra tragica ed enorme e che lui racconta come semplice, minima, casuale, leggera. Eppure profondissima. 
Mi fa sentire beppe, con il suo senso della misura, che forse  in quelle circostanze senza spavalderia ma anche senza paura, forse anche io avrei potuto fare la stessa cosa. 
buon 25 aprile. 






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Johnny stava osservando la sua città dalla finestra della villetta collinare che la sua famiglia s’era precipitata ad affittargli per imboscarlo dopo il suo imprevisto, insperato rientro dalla lontana tragica Roma fra le settemplici maglie tedesche. Lo spettacolo dell’8 settembre locale, la resa di una caserma con dentro un intero reggimento davanti a due autoblindo tedesche not entirely manned, la deportazione in Germania in vagoni piombati avevano tutti convinto, familiari ed hangers-on, che Johnny non sarebbe mai tornato; nella più felice delle ipotesi stava viaggiando per la Germania in uno di quei medesimi vagoni piombati, partito da una qualsiasi stazione dell’Italia centrale. Aleggiava da sempre intorno a Johnny una vaga, gratuita, ma pleased and pleasing reputazione d’impraticità, di testa fra le nubi, di letteratura in vita… Johnny invece era irrotto in casa di primissima mattina, passando come una lurida ventata fra lo svenimento di sua madre e la scultorea stupefazioni del padre. S’era vertiginosamente spogliato e rivestito del suo migliore abito borghese (quell’antica vigogna), passeggiando su e giù in quella ritrovata attillatezza, comodità e pulizia, mentre i suoi l’inseguivano pazzamente nel breve circuito. La città era inabitabile, la città era un’anticamera della scampata Germania, la città coi suoi bravi bandi di Graziani affissi a tutte le cantonate, attraversata pochi giorni fa da fiumane di sbandati dell’Armata in Francia, la città con un drappello tedesco nel primario albergo, e continue irruzioni di tedeschi da Asti e Torino su camionette che riempivano di terrifici sibili le strade deserte e grige, proditoriate. Assolutamente inabitabile, per un soldato sbandato e pur soggetto a bando di Graziani. Il tempo per suo padre di correre ad ottenere il permesso dal proprietario della villetta collinare, il tempo per lui di arraffare alla cieca una mezza dozzina di libri dai suoi scaffali e di chiedere dei reduci amici, il tempo per sua madre di gridargli dietro: - Mangia e dormi, dormi e mangia, e nessun cattivo pensiero, - e poi sulla collina, in imboscamento.







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